Il nuovo assegno divorzile

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L’assegno di mantenimento, in favore del coniuge separato, e l’assegno divorzile, in favore dell’ex coniuge, hanno avuto, da sempre, differenti finalità da soddisfare e diversi criteri di calcolo.

Il primo assegno, richiamato nell’art. 156 c. 1 c.c., è adottato tra marito e moglie il cui vincolo matrimoniale non è stato ancora sciolto, ed ha lo scopo di garantire al coniuge economicamente più debole, e che non disponga di redditi adeguati, un tenore di vita simile a quello goduto durante il matrimonio.

Trova la sua motivazione, seppure in forma attenuata, nel dovere di solidarietà materiale e morale, previsto col matrimonio, e l’obbligo derivante permane anche nel periodo della separazione, e sino al passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia il divorzio.

Il Tribunale, dunque, per determinarne l’ammontare, dovrà valutare la disparità tra i redditi percepiti dai coniugi, il tenore di vita goduto dalla coppia durante il periodo matrimoniale che ha preceduto la separazione, l’effettiva capacità lavorativa del coniuge beneficiario, ed ogni altro elemento rilevante a tali fini.

L’assegno divorzile, invece, ha una natura esclusivamente assistenziale, è una diretta conseguenza dello scioglimento del vincolo matrimoniale ed è richiamato nell’art. 5 della legge n. 898/70, per il quale, al comma 6, quando il coniuge richiedente non ha mezzi adeguati o comunque è nell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, rigidamente valutate, “…il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio…”, quindi tenuto conto, al fine di stabilire l’adeguatezza o inadeguatezza dei mezzi, anche del tenore di vita goduto, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente un assegno a favore dell’altro.

In questo panorama da tempo consolidato e apparentemente immutabile, dopo circa ventisette anni di giurisprudenza costante, la recente sentenza della Corte di Cassazione, numero 11504 del 10 maggio 2017, ha sostanzialmente corretto il tiro, sul tema dei parametri da valutare ai fini della determinazione o revisione dell’assegno divorzile, escludendo il “tenore di vita”, perché ritenuto un criterio “non più attuale”, appartenente al tempo di un matrimonio ormai cessato, e ponendo l’accento, invece, sull’”indipendenza o autosufficienza economica” dell’ex coniuge richiedente, cioè sull’essere, o meno, questi possessore di redditi e di un patrimonio mobiliare e/o immobiliare, e sull’avere, o meno, la capacità e l’effettiva possibilità di un’attività lavorativa, in funzione della salute e dell’età, nonché la disponibilità di un’abitazione.

Dunque, l’ammontare dell’assegno divorzile in favore del coniuge richiedente, divenuto col divorzio “persona singola” e non più parte di un rapporto matrimoniale ormai estinto, non sarà più stabilito sulla base della ricchezza dell’altro, ma su parametri oggettivi, tendenzialmente validi per tutti i beneficiari.

La Corte di Cassazione ha affermato che, sposarsi è un atto di libertà e di auto responsabilità ed il matrimonio non può e non deve essere una sistemazione definitiva.

Ed in coerenza, con recente sentenza numero 6855 del 3 aprile 2015, Rel. Dogliotti, priva di incertezze e ambiguità, la Cassazione si era già espressa sull’assimilazione tra convivenza more uxorio e nuove nozze, quali eventi capaci di porre termine alla cd. solidarietà post-matrimoniale, espressioni entrambe di una “scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale da parte dell’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo”.

Da ultimo, la Suprema Corte, confermando la detta pronuncia dello scorso maggio, con la successiva sentenza numero 15481, del 22 giugno 2017, ha affermato che non è necessario un intervento delle Sezioni Unite per regolamentare ed escludere il parametro del “tenore di vita”, e che i nuovi principi, anche in sede di revisione, devono essere applicati d´ufficio dai Giudici che, nel decidere le cause, hanno l´obbligo di uniformarsi alle ultime novità in diritto.

Avv. Renato Chizzoni

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